Cenni di storia del judo
Contesto storico politico
Nel 1853 le Black ships (navi nere) del Commodoro Perry entrarono nel porto di Uraga (oggi Yokosuka) e minacciando il Giappone lo indussero ad aprirsi agli scambi commerciali con il resto del mondo.
Crollò così un sistema di isolamento che aveva caratterizzato tutta la storia del Giappone e il paese si trovò improvvisamente a rovesciare un complesso e rigido sistema feudale per adattarsi alla nuova situazione.
Da lì a poco, il Giappone fu pervaso dalla corsa febbrile al rinnovamento e alla modernizzazione, rinunciando alle tradizioni proprie e Impegnato a copiare tutto quello che proveniva dall’occidente. La letteratura epica come Genji Monogatari fu abbandonata mentre cominciarono a diffondersi le traduzione dei più famosi romanzi europei. Infine un abbigliamento occidentale, con giacca, pantaloni e bombetta, sostituirono gli eleganti kimoni (vesti) giapponesi.
La Casta dei samurai fu quella pagò il prezzo più alto di questo rinnovamento. Mentre alcuni, appartenenti a famiglie abbienti, poterono arruolarsi nella nascente pubblica amministrazione, per gli altri fu una disfatta sociale.
Da lì a poco, nella povertà più assoluta, i samurai scomparvero dal contesto sociale. In quegli anni di rincorsa della modernità, tutto ciò che era tradizionale, era diventato malvisto e criticato, in particolare le discipline di combattimento come il ju-jitsu, un efficace sistema di difesa che veniva insegnato ai guerrieri per risolvere le contese qualora si trovassero senza armi ad una corta distanza dall’avversario.
In questa situazione i maestri di questa arte si dovettero reinventare: alcuni si misero ad insegnare trovando l’interesse di chi si spostava per le strade extraurbane poco sicure; altri divennero massaggiatori o aggiusta ossa.